25 OTTOBRE 2019 Venerdì, 29a Settimana del Tempo Ordinario  

Feria

 
Rm 7,18-25a
Sal 119,66.68.76.77.93.94
Lc 12,54-59

È stata fatta menzione dell’affermazione di Paolo secondo cui la Legge fu motivo della proliferazione del peccato, e delle critiche che gli furono mosse dagli avversari. L’obiettivo dell’Apostolo, tuttavia, è soltanto quello di rimarcare come la Legge non abbia in se stessa il potere di trasformare e salvare l’essere umano: essa mostra appena ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, e così finisce per evidenziare tutte le sue mancanze. Ecco perché Paolo risponde senza ombra di dubbio: la Legge è buona e santa, ma il problema è che attraverso di essa il peccato, cioè la trasgressione dei co- mandamenti, si manifesta in tutta la sua gravità. La Legge pone dinanzi al popolo la via della vita e la via della morte.

Paolo conosce molto bene il dramma interiore che ogni persona vive, specialmente quando si sforza di seguire il sentiero della perfezione. Attra- verso la ragione e la volontà, l’essere umano comprende e desidera fare del bene, conformemente ai comandamenti, ma incontra in sé una tendenza, un impulso a compiere il male. Ciò dimostra che è schiavo e ha bisogno di una forza liberatrice che non può venire da lui. Non siamo nati nella colpa personale, ma portiamo i segni del peccato, del disordine cosmico e ne soffriamo le sue conseguenze. «Infatti – dice Paolo – io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19). L’essere umano sperimenta questa drammatica contraddizione e si chiede: chi può libe- rarmi dal mio stesso “io” gracile, carnale, per vivere il nuovo “io” risanato, spirituale, che piace a Dio? Paolo sa che è Gesù l’unica fonte di grazia e la nostra redenzione. Pertanto, ci esorta a lodare e a rendere grazie a Dio, insieme a lui, e dunque possiamo pregare con il salmista, dicendo: «Il tuo amore sia la mia consolazione, secondo la promessa fatta al tuo servo. Venga a me la tua misericordia e io avrò vita» (Sal 119,76-77).

Chi osserva fedelmente la Legge deve prestare la massima attenzione per non cadere nel grave peccato dell’orgoglio, come il fariseo nel tempio che, disprezzando gli altri, si considerava giusto dinanzi a Dio, contraddicendo ciò che dice la Scrittura: «davanti a te nessun vivente è giusto» (Sal 143,2). Può anche darsi che non abbia il coraggio per procedere sino al passo successivo, là dove la Legge stessa conduce. Chi osserva i comandamenti è sulla via che porta alla vita eterna, come mostra l’episodio della persona che domandò a Gesù: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Lc 18,18). Il Signore confermò che quel giovane era sulla strada giusta. Il punto è che questo cammino lo aveva condotto a Gesù affinché continuasse nella sua ricerca, essendo Gesù stesso la “via” alla vita (cfr. Gv 14,6) e la “porta” di ingresso al Regno (cfr. Gv 10,7-9). Quando Paolo, mediante la luce della grazia, comprese questo, non esitò a seguire la via di Gesù con tutta la sua forza, il suo cuore e la sua mente. Quell’uomo però, che era molto ricco, non ebbe lo stesso coraggio.

Nel richiamo di Gesù alle folle, che sanno discernere i segni della natura con la loro esperienza e intelligenza, due mancanze sono rimproverate dal Maestro Divino: l’incapacità di discernere il tempo presente e l’incapacità di giudicare ciò che è giusto. Sanno interpretare il tempo cronologico e quello meteorologico, ma non riescono a percepire la presenza del tempo salvifico. Nel suo discorso programmatico nella sinagoga di Nazareth, ci- tando il profeta Isaia, Gesù aveva dichiarato che stava inaugurando l’anno del Signore, l’“oggi” della salvezza, nel quale le promesse delle Scritture raggiungono il loro compimento (cfr. Lc 4). A partire da lì, tutto l’agire di Gesù, in parole e in azioni, fu una instancabile missione evangelizza- trice. Molte persone che lo ascoltavano ed erano testimoni delle sue opere restavano attonite e, rendendo gloria a Dio, dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose» (Lc 5,26). Ai discepoli del Battista che gli chiedevano se fosse davvero il Messia o se vi fosse bisogno di aspettare un’altra persona, Gesù rispondeva mostrando i frutti della sua azione evangelizzatrice: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purifi- cati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia» (Lc 7,22). E se, da un lato, Gesù mostra afflizione per essere perseguitato e osteggiato dalle autorità politiche e religiose, dai potenti e dai proprietari terrieri che non conoscono alcun pentimento e rifiutano qualsiasi opportunità di conversione, dall’altro è estasiato nel vedere la gioia e la semplicità degli umili che accolgono la luce della sua parola e diventano suoi discepoli per entrare nel Regno. Perciò, esultando nello Spirito Santo, Gesù prorompe in lodi e ringraziamenti al Padre, perché ha nascosto queste cose ai saggi e ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli.

Dato che la posta in gioco è alta, ci si dovrebbe mostrare meno esperti nella lettura dei fenomeni naturali, per essere più lucidi nella comprensione del tempo della storia e del tempo di Dio; quest’ultimo atteggiamento sarebbe meno dannoso di quello chiamato in causa da Gesù. Poiché si tratta, essenzialmente, della grazia della rivelazione messianica, è urgente e decisivo accoglierla nel momento stesso in cui essa si presenta, per darle tutte le possibilità di produrre i frutti della salvezza di cui è portatrice. Questo potrebbe avverarsi solo rispondendo nella libertà e obbedienza agli appelli speciali alla conversione, rivolti dal Signore in cammino verso Gerusalemme. È altresì necessario dedicare la dovuta attenzione ai segni particolari di questo tempo che la presenza di Cristo arricchisce d’una novità assoluta, facendogli assumere un’incredibile significato storico e provvidenziale per la nostra salvezza.