28 OTTOBRE 2019 Lunedì, 30a Settimana del Tempo Ordinario  

Festa dei Santi Simone e Giuda, Apostoli

 
Ef 2,19-22
Sal 19,2-5
Lc 6,12-19

La Liturgia continua la serie delle feste degli Apostoli ricordandone oggi due pressoché sconosciuti, le cui reliquie sono venerate nella basilica di San Pietro, presso l’altare di San Giuseppe. Quei Dodici, simbolo di tutto un popolo nuovo, Gesù li ha tratti non dalla considerazione di qualità e meriti, ma, dice Luca, da una notte di preghiera, d’intensa comunione con il Padre, quasi ad attingere abbondantemente da lui quello Spirito che avrebbe trasmesso ai chiamati, facendo di loro degli apostoli. Luca, nei suoi racconti evangelici, ci mostra in numerose occasioni quanto per Gesù fosse importante la preghiera, quell’incontro di dialogo intimo e amorevole con il suo Padre celeste.

In alcune occasioni, Luca si sofferma a descrivere questi episodi e persino il contenuto delle preghiere di Gesù, in modo che ogni discepolo possa imparare a pregare nel modo giusto: quello in cui il devoto è disposto ad ascoltare ciò che il Signore ha da dire e a fare ciò che Lui comanda, invece di moltiplicare le sue parole inutili per chiedere a Dio di soddisfare tutte le sue richieste egoistiche. L’autentica preghiera cristiana nasce in Dio, impregna la nostra azione, trasforma la nostra esistenza e ritorna a Dio con sentimenti di gratitudine, obbedienza filiale, offerta di sé e solidarietà con gli altri. Pertanto, Luca sottolinea come tutte le decisioni cruciali della vita di Gesù siano state prese in un contesto di preghiera, dal battesimo – potremmo tornare addirittura all’infanzia – sino al Getsemani e alla croce. 

Nell’episodio evangelico di oggi, possiamo contemplare Gesù che tra- scorre l’intera notte in preghiera, perché sta per fare una scelta che raffor- zerà per sempre il suo legame con i suoi discepoli. Si tratta di un impe- gno definitivo, perché con i Dodici istituirà la sua comunità messianica; sceglierà i dodici pilastri su cui edificherà, come promesso dai profeti, il popolo della nuova alleanza, la Chiesa. Per questo popolo, e per tutta l’umanità, verserà il suo sangue, consapevolmente e liberamente, per il perdono dei peccati. Gli “apostoli” – parola che significa “inviati” – sono prescelti prima della Passione-Morte-Resurrezione, ma è solo dopo la Pa- squa e la Pentecoste che la loro missione dispiegherà tutto il suo potenziale, compiendosi pienamente. Prima di questo momento, tuttavia, essi sono chiamati per essere formati e preparati a quel che li attende, quando il Maestro si farà presenza nello Spirito. La preghiera dunque si rivela come anima della missione, ovvero fedele ed efficace presenza di Dio nell’agire della sua Chiesa per la salvezza del mondo a cui si è inviati.

Il Papa emerito Benedetto XVI nell’Udienza generale dell’11 ottobre 2006, così rifletteva sulla fede e sulla vocazione dei Santi Apostoli Simone il Cananeo e Giuda Taddeo:

«Cari fratelli e sorelle, oggi prendiamo in considerazione due dei dodici Apostoli: Simone il Cananeo e Giuda Taddeo (da non confondere con Giuda Iscariota). Li consideriamo insieme, non solo perché nelle liste dei Dodici sono sempre riportati l’uno accanto all’altro (cfr. Mt 10,4; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13), ma anche perché le notizie che li riguardano non sono molte, a parte il fatto che il Canone neotestamentario conserva una lettera attribuita a Giuda Taddeo.

Simone riceve un epiteto che varia nelle quattro liste: mentre Matteo e Marco lo qualificano “cananeo”, Luca invece lo definisce “zelota”. In realtà, le due qualifiche si equivalgono, poiché significano la stessa cosa: nella lingua ebraica, infatti, il verbo qanà’ significa “essere geloso, appassionato” e può essere detto sia di Dio, in quanto è geloso del popolo da lui scelto (cfr. Es 20,5), sia di uomini che ardono di zelo nel servire il Dio unico con piena dedizione, come Elia (cfr. 1Re 19,10). È ben possibile, dun- que, che questo Simone, se non appartenne propriamente al movimento nazionalista degli Zeloti, fosse almeno caratterizzato da un ardente zelo per l’identità giudaica, quindi per Dio, per il suo popolo e per la Legge divina. Se le cose stanno così, Simone si pone agli antipodi di Matteo, che al contrario, in quanto pubblicano, proveniva da un’attività considerata del tutto impura. Segno evidente che Gesù chiama i suoi discepoli e collabo- ratori dagli strati sociali e religiosi più diversi, senza alcuna preclusione. A Lui interessano le persone, non le categorie sociali o le etichette! E la cosa bella è che nel gruppo dei suoi seguaci, tutti, benché diversi, coesistevano insieme, superando le immaginabili difficoltà: era Gesù stesso, infatti, il motivo di coesione, nel quale tutti si ritrovavano uniti. Questo costituisce chiaramente una lezione per noi, spesso inclini a sottolineare le differenze e magari le contrapposizioni, dimenticando che in Gesù Cristo ci è data la forza per comporre le nostre conflittualità. Teniamo anche presente che il gruppo dei Dodici è la prefigurazione della Chiesa, nella quale devono avere spazio tutti i carismi, i popoli, le razze, tutte le qualità umane, che trovano la loro composizione e la loro unità nella comunione con Gesù.


Per quanto riguarda poi Giuda Taddeo, egli è così denominato dalla tradizione, unendo insieme due nomi diversi: infatti, mentre Matteo e Marco lo chiamano semplicemente “Taddeo” (Mt 10,3; Mc 3,18), Luca lo chiama “Giuda di Giacomo” (Lc 6,16; At 1,13). Il soprannome Taddeo è di derivazione incerta e viene spiegato o come proveniente dall’aramaicotaddà’, che vuol dire “petto” e quindi significherebbe “magnanimo”, oppure come abbreviazione di un nome greco come “Teodòro, Teòdoto”. Di lui si tramandano poche cose. Solo Giovanni segnala una sua richiesta fatta a Gesù durante l’Ultima Cena. Dice Taddeo al Signore: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. È una questione di grande attualità, che anche noi poniamo al Signore: perché il Risorto non si è manifestato in tutta la sua gloria ai suoi avversari per mostrare che il vincitore è Dio? Perché si è manifestato solo ai suoi Discepoli? La risposta di Gesù è misteriosa e profonda. Il Signore dice: “Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,22-23). Questo vuol dire che il Risorto dev’essere visto, percepito anche con il cuore, in modo che Dio possa prendere dimora in noi. Il Signore non appare come una cosa. Egli vuole entrare nella nostra vita e perciò la sua manifestazione è una manifestazione che implica e presuppone il cuore aperto. Solo così vediamo il Risorto.

A Giuda Taddeo è stata attribuita la paternità di una delle Lettere del Nuovo Testamento che vengono dette “cattoliche” in quanto indirizzate non ad una determinata Chiesa locale, ma ad una cerchia molto ampia di destinatari. Essa infatti è diretta “agli eletti che vivono nell’amore di Dio Padre e sono stati preservati per Gesù Cristo” (v. 1). Preoccupazione cen- trale di questo scritto è di mettere in guardia i cristiani da tutti coloro che prendono pretesto dalla grazia di Dio per scusare la propria dissolutezza e per traviare altri fratelli con insegnamenti inaccettabili, introducendo divisioni all’interno della Chiesa “sotto la spinta dei loro sogni” (v. 8), così definisce Giuda queste loro dottrine e idee speciali. Egli li paragona addirittura agli angeli decaduti, e con termini forti dice che “si sono in- camminati per la strada di Caino” (v. 11). Inoltre li bolla senza reticenze “come nuvole senza pioggia portate via dai venti o alberi di fine stagione senza frutti, due volte morti, sradicati; come onde selvagge del mare, che schiumano le loro brutture; come astri erranti, ai quali è riservata la cali- gine della tenebra in eterno” (vv. 12-13).

[...] Si vede bene che l’autore di queste righe vive in pienezza la propria fede, alla quale appartengono realtà grandi come l’integrità morale e la gioia, la fiducia e infine la lode, essendo il tutto motivato soltanto dalla bontà del nostro unico Dio e dalla misericordia del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò, tanto Simone il Cananeo quanto Giuda Taddeo ci aiutino a riscoprire sempre di nuovo e a vivere instancabilmente la bellezza della fede cristiana, sapendone dare testimonianza forte e insieme serena».