23 OTTOBRE 2019 Mercoledì, 29a Settimana del Tempo Ordinario

Memoria Facoltativa di San Giovanni da Capestrano

 

Rm 6,12-18
Sal 124,1b-8
Lc 12,39-48

Paolo sostiene, nell’intero testo della Lettera ai Romani, che è inutile affidarsi alla Legge mosaica, giacché essa non libera l’uomo, bensì lo schia- vizza e lo condanna. Infatti, fino all’arrivo della Legge di Mosè, il peccato era già nel mondo, a causa di Adamo, così come la morte. Però, poiché la Legge non era stata ancora rivelata e non esisteva ancora alcun precetto, non era possibile imputare ai peccatori le loro mancanze, nel loro aspetto formale di trasgressioni, né si poteva applicare loro le sanzioni previste dalla Legge. Tuttavia, secondo la legge naturale scritta nel cuore, la respon- sabilità personale per il peccato rimane la stessa per tutti. Pertanto, dopo aver ricevuto la legge, gli ebrei videro solo crescere la loro responsabilità e, con essa, le loro colpe.

L’aspettativa giudaica era che negli ultimi giorni, all’arrivo del Messia, costui avrebbe portato una nuova legge o una reinterpretazione della Leg- ge. Questo terzo periodo – che Paolo chiama «la pienezza del tempo» – fu inaugurato dalla nascita e dalla Pasqua di Cristo, l’Unto inviato da Dio. A partire dalla sua venuta, quindi, siamo stati liberati dalla Legge, dichiara l’Apostolo, perché la grazia del Signore Gesù ha cominciato a regnare.

Paolo lascia da parte il racconto di Noè e ciò che esso potrebbe signifi- care riguardo all’alleanza, al peccato e alla legge, e passa direttamente da Adamo a Mosè. Intende affrontare il problema esclusivamente in termini di Legge mosaica, perché era con questo argomento che alcuni tra gli ebrei, o ebrei-cristiani, i falsi fratelli, andavano turbando le comunità cristiane da lui fondate, per imporre a tutti la circoncisione come qualcosa di ne- cessario per essere redenti e salvati da Dio.

Ora, quando Paolo afferma che la Legge è stata involontariamente la causa della proliferazione del peccato e che, seppure indirettamente, ciò ha fatto sì che traboccasse la grazia di Dio riversata sull’umanità peccatrice, si espone alla concreta possibilità di sollevare molte domande e critiche. An- ticipando le obiezioni che avrebbe ricevuto, Paolo afferma che il cristiano, una volta accostatosi al Mistero pasquale di Cristo morto e risorto, non vuole più saperne del peccato e delle sue terribili conseguenze. Il fatto che la giustificazione di Cristo ci faccia tutti redenti e porti vita e libertà per tutti non significa che il peccatore possa continuare a peccare allo stesso modo di prima o addirittura di più, abusando della sua libertà in Cristo o provocando Dio in modo che manifesti ancora di più la sua grazia. L’auten- tico cristiano si considera morto a causa del peccato e vive esclusivamente per Dio in Cristo Gesù. Perciò, non essendo più sottoposto alla Legge, ma sotto la protezione della grazia, il cristiano viene esortato a offrire il suo corpo e tutto il suo essere per praticare soltanto il bene, l’amore reciproco e la giustizia; è chiamato a consacrarsi interamente al servizio di Dio a favore degli altri. Ecco la grande missione evangelizzatrice della Chiesa. In effetti, la redenzione ci fa rinascere attraverso un legame di adozione filiale e implica l’inizio di una nuova vita alla luce dello Spirito Santo.

Questo insegnamento di Paolo in relazione alla Legge è perfettamente in sintonia con quello di Gesù. L’amministratore che ha commesso un errore, disobbedendo a un ordine esplicito del suo padrone, sarà punito con più severità rispetto al servo che ha commesso lo stesso errore, ma senza essere a conoscenza della norma in vigore. È questo, molto sempli- cemente, l’insegnamento che l’Apostolo spiega nella sua Lettera. La Legge ha aumentato la responsabilità e, quindi, la colpa per la trasgressione. Tutti coloro che hanno ricevuto autorità e mezzi in campo religioso, sociale, politico, economico, giuridico, militare, ecc., riceveranno una punizione gravissima se abuseranno del loro potere per maltrattare, sfruttare e oppri- mere il popolo di Dio o distruggere la sua casa, la sua creazione.

La domanda di Pietro: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?» (Lc 12,41) apre l’orizzonte alla dimensione comunitaria della vigilanza. La parabola di Gesù si rivolge a tutti i membri della comunità ecclesiale, ciascuno dei quali è invitato a svolgere il suo compito con fe- deltà, quotidianamente, senza rimandare nulla a domani. Fra coloro che sono chiamati alla vigilanza, i detentori di ruoli di guida all’interno della comunità, hanno una responsabilità maggiore. La grande sfida di servire Gesù Cristo e il suo Vangelo, anziché servirsene, riguarda in primo luogo i capi, gli animatori delle comunità. Chi siede a capotavola deve assicurarsi che gli altri abbiano avuto la loro razione prima di servirsi. Gesù elogia l’amministratore onesto e saggio, colui che non si fa irretire dal fascino del potere e che gestisce le risorse con il doveroso distacco. «Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi» (Lc 12,43-44). La gestione dei beni della terra nell’equità, nella giustizia, nella trasparenza, sono temi di grandissima attualità nel mondo contemporaneo: un mondo flagellato dalle avidità predatorie a scala mondiale e in cui spesso l’essere umano vale molto di meno delle merci e delle cose. «Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli» (Lc 12,45-46).

In queste parole è importante prestare attenzione all’atteggiamento del servo infedele, che in cuor suo si convince che l’arrivo del Signore è lontano, e al riferimento finale agli infedeli. Stoltezza e ateismo appaiono in coppia nei Salmi (14,1; 53,2): «Lo stolto pensa: “Dio non c’è”». Per chi decide di escludere Dio dal proprio cuore non sarà certamente facile accogliere il prossimo e riconoscerne il disegno divino per lui. Il Vangelo dichia- ra che il Signore verrà di nuovo come giudice e ciascuno dovrà rendere conto del proprio operato. Non è una minaccia. Non rientra nella peda- gogia di Dio imporsi con lo spettro del castigo. La comunità cristiana è la casa del Padre nella quale si celebrano la vita e l’amore. Sono le scelte di ciascuno che frutteranno il premio o l’esclusione.

Il male seriamente considerato, alla luce della certezza della vittoria di Cristo sulla morte, costituisce nell’ottica di San Paolo e del Vangelo una seria provocazione per la missione cristiana. La lotta iniziata da Cristo nel cuore del discepolo missionario, grazie all’azione dello Spirito nel battesimo, rappresenta una dimensione centrale dell’annuncio e della te- stimonianza cristiana. La missione della Chiesa, proprio perché mossa dalla certezza della vittoria e dell’amore misericordioso, non teme la lotta contro il male, in tutte le sue forme. Ai credenti, a cui molto è stato dato, molto viene chiesto di offrire, proclamare e condividere grazie all’annuncio esplicito e fiducioso che la salvezza dal male e dalla morte viene solo da Gesù Cristo.