26 OTTOBRE 2019 Sabato, 29a Settimana del Tempo Ordinario  

Feria

 
Rm 8,1-11
Sal 24,1b-4ab.5-6
Lc 13,1-9

L’insegnamento di Gesù, nel Vangelo di oggi, comincia da una notizia che gli viene riferita da persone anonime: il caso di alcuni galilei massacrati da Pilato, mentre offrivano un sacrificio nel Tempio. Non solo la condan- na è eseguita all’interno delle mura del Tempio, ma, per di più, il sangue umano si vede mescolato a quello degli animali sacrificati, il che causa una grave onta e provoca indignazione. Non è chiaro il motivo per cui queste persone raccontino l’episodio a Gesù. Forse perché, essendo Gesù un Galileo, volevano metterlo in guardia, proprio come fanno poco dopo, avvisandolo della persecuzione di Erode Antipa, che voleva ucciderlo. Oppure lo stavano minacciando in modo sordido, perché, se fosse stato denunciato al procuratore romano, avrebbe potuto subire la stessa sorte; o semplicemente per il gusto dei pettegolezzi sulle tragedie altrui. Come dice il salmo: le persone che si rallegrano dei mali degli altri dovrebbero ritirarsi; quelli che gioiscono delle infermità degli altri dovrebbero vergognarsi.

Ma la risposta di Gesù porta a supporre la presenza di qualcosa di ancor più serio in loro: un giudizio condiscendente nei confronti delle vittime, come se meritassero di morire così violentemente, e nel momento sacro dell’adorazione di Dio; come se la brutalità dei romani fosse un giudizio di Dio su coloro che sono stati uccisi. Gesù non commenta l’evento, ma trae una lezione dall’atteggiamento di coloro che gli riferiscono il triste episodio: nessuno è autorizzato a interpretare la sofferenza, la malattia, gli

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L’INCONTRO CON GESÙ CRISTO

incidenti e le tragedie degli altri come una punizione divina per i peccati commessi, ma ognuno deve considerare i propri peccati come la peggiore disgrazia, e cercare di convertirsi con un sincero pentimento. A nessuno è stata data l’autorità per giudicare e dividere le persone tra “buoni” e “cattivi”. Solo il Signore conosce tutta la verità dei nostri cuori.

Non appena la notizia gli viene comunicata, Gesù rifiuta immedia- tamente la lettura secondo la quale ci sarebbe un nesso causale tra la morte violenta e l’enormità del peccato. Gesù vuole sottolineare che gli incidenti non svelano necessariamente la gravità di qualche peccato na- scosto della persona che ne è vittima, ma sono come degli avvertimenti che ci ricordano che la morte può bussare sempre, e soprattutto quando meno ce lo aspettiamo. Da questo deriva la consapevolezza che si devono risvegliare in ognuno la necessità e l’urgenza della conversione interiore, da accettare e operare prima che sia troppo tardi. Ecco perché Gesù, ri- fiutando che i galilei massacrati da Pilato e le diciotto persone schiacciate dal crollo della torre di Siloé possano essere considerati più peccatori di altri, prosegue il suo discorso lasciando intendere che se quelli che lo ascoltano non dovessero convertirsi, potrebbero perire allo stesso modo. Convertirsi non perché il loro pentimento li proteggerebbe dalla morte, bensì perché la conversione mette nella buona disposizione spirituale e umana per incontrare il Signore della vita, nella totale serenità e pace del cuore. Se la conversione può liberare dalla morte, si tratta di quella eterna e non già della scomparsa fisica. L’immagine di Dio alla base dell’idea secondo cui la morte violenta rivelerebbe un grave peccato nella vittima non corrisponde al Dio-Padre rivelato da Gesù. Questi non è un Dio che si vendica dei peccatori, ma è un Dio paziente, che spera, concedendo il tempo necessario, che a un dato momento l’umanità finirà col rendersi conto di che folle amore essa è amata, e ciò le porterà i frutti dell’amore fraterno e della solidarietà da essa attesi.

In ogni caso, questa è la prospettiva indicata dalla parabola, il punto teologico che essa drammatizza con l’aiuto della storia di un uomo, del suo albero di fico e del suo vignaiolo. Deluso per non aver ricevuto i frutti che era in diritto di attendersi, dopo tanti anni di cure e di lavoro, l’uomo decide di tagliare il suo albero di fico poiché non sarebbe cosa buona continuare a lasciargli sfruttare il terreno invano. Ma, a sorpresa, il suo vignaiolo interviene e intercede perché si conceda a quell’albero di fico una proroga, il tempo di verificare se lavorando la terra e mettendo del concime le cose non possano cambiare. Il seguito della storia non è raccontato, ma l’esecuzione del verdetto sembra essere sospesa; ciò apre la via alla speranza. Se ci vedessimo riflessi nell’immagine del fico, la buona novella è che il tempo di vita donatoci dal Padrone dell’universo ci apre uno spazio per lasciare che la grazia divina agisca e produca i suoi frutti di pace, di gioia, di giustizia e d’amore in noi. È un regalo, una sorta di seconda chance che non lascia più margine di errore. D’altra parte, se è la figura del vignaiolo a rappresentarci, dobbiamo intravedervi la nostra parte di intercessione e gli sforzi che dobbiamo compiere come contributo da offrire per la conversione altrui. Come comunità ecclesiale, va da sé che noi siamo chiamati a un duplice impegno: convertirci senza sosta, diventando sempre più trasparenti alla Parola di Dio e docili allo Spirito d’amore che vivifica e adoperarsi per la conversione del mondo non offuscando il volto misericordioso e paziente di Dio, Padre di Gesù Cristo, la cui prima e unica volontà è quella di salvare e non di condannare. L’esperienza mostra che si ottiene di più dal cuore dandogli fiducia: non conquistiamo le persone all’amore divino mettendogli paura, imprigionandole nelle loro disgrazie. Possa questa pedagogia guidare la nostra azione missionaria senza che ciò ne attenui l’acutezza profetica né la profonda comprensione della natura umana e del contenuto della salvezza.

L’immagine del fico piantato nella vigna suggerisce, forse, che il Regno di Dio (la vigna) è molto più grande di Israele o di Gerusalemme, rappre- sentati dal fico. Pertanto, Gesù, il Messia, il divino viticoltore, è venuto a cercare nella Città Santa frutti di misericordia, di giustizia e di fedeltà. Questi sono i frutti che piacciono a Dio, i frutti attesi dal “proprietario della vigna”. Ma il tempo sta per scadere e la decisione di tagliare il fico è presa, poiché questi frutti non sono stati trovati. Questo è anche il signi- ficato dell’episodio del fico sterile di Marco (cfr. Mc 13,28) e di Matteo (cfr. Mt 21,18-22; 24,32), che ha portato alla maledizione dell’albero.

Ma, sorprendentemente, nella parabola di Luca è il viticoltore a interce- dere con il proprietario, perché abbia un po’ di pazienza con il suo albero di fico e dunque perché abbia misericordia con Gerusalemme. E come se ciò non bastasse, lui stesso si impegna a fare tutto il possibile per rendere fruttuoso quest’albero tanto caro. Perché sicuramente, come il profeta Ezechiele dichiara nell’acclamazione dell’Alleluia, Dio non prova piacere per la morte dei malvagi; piuttosto, è la loro conversione che desidera, perché possano abbandonare il loro percorso sbagliato e la loro vita nel peccato. «Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o casa d’Israele?» (Ez 33,11). Purtroppo, l’invito alla conversione non è stato accettato, gli avvertimenti non sono stati ascoltati, i segni non sono stati capiti e il tempo della grazia non è stato sfruttato. Ma prima che si verificasse la tragedia finale di Gerusalemme, lo stesso Albero della Vita, Gesù, ha accettato di essere tagliato in modo che, alla fine, la radice di tutti i mali fosse estirpata e fatta germogliare nel nostro cuore, vivificandolo eternamente nella linfa dello Spirito Santo.