16 OTTOBRE 2019 Mercoledì, 28a Settimana del Tempo Ordinario

Memoria Facoltativa di Sant’Edvige
Memoria Facoltativa di Santa Margherita Maria Alacoque

Rm 2,1-11
Sal 62,2-3.6-7.9
Lc 11,42-46

Nella prima lettura, rivolgendosi ai credenti di Roma, Paolo spiega che anche i Giudei, come i pagani, commettono il male. Egli mostra, anzi, l’estrema facilità con cui i Giudei accusano di immoralità e di degrado sociale i pagani, crogiolandosi nella convinzione di essere migliori degli altri grazie alla loro osservanza totale della Legge. Per mostrare ai suoi connazionali quanto siano fuori strada, l’Apostolo tenta di demolire alcune delle loro false sicurezze che erano state anche le sue, prima dell’incontro con il Signore Risorto. Confidando inizialmente nella carne e nell’appar- tenenza al popolo che aveva ricevuto la Legge, Paolo viene poi convertito a Cristo mediante la fede, che giustifica e opera in virtù dell’amore, e non dell’osservanza rituale dei precetti. Non basta credere con la bocca, con la pratica esteriore della Legge: bisogna vivere nella fede. Il giudizio, infatti, sarà sull’amore, frutto dell’adesione della fede a Cristo morto e risorto. La fede è partecipazione alla natura divina e all’amore divino di Gesù.

Paolo denuncia il peccato della durezza di cuore e dell’ostinazione di un popolo che crede di essere l’unico a meritare la salvezza. È finito il tempo dei privilegi, è l’inizio di un tempo in cui ognuno è chiamato a decidersi di fronte a Cristo e ad affrontare le conseguenze delle proprie azioni. È l’inizio di un tempo in cui bisogna arrendersi tutti alla pazienza di Dio, scoprendo che la sua bontà vuole riversarsi anche su coloro che sono stati tanto lontani da lui. Solo Dio è giudice delle persone: tutti siamo sotto- posti al suo giudizio, nessuno escluso. La sicurezza di essere nel giusto e l’arroganza di sentirsi detentori e difensori della verità e della morale (la Legge) possono portare al disprezzo di Dio, considerando la sua misericordia come debolezza, e all’esclusione ingiusta del fratello dalla salvezza.

Il brano evangelico di Luca (cfr. Lc 11,42-46), che ha il sapore di una requisitoria profetica contro i farisei e contro i dottori della legge, mette in guardia la comunità cristiana di ieri e di oggi dalle tentazioni del legalismo, del formalismo e del ritualismo discriminatore, che alimentano quel gran- de nemico dell’opera salvifica di Cristo che è l’autoreferenzialità superba e impenetrabile. La perversione della Legge nel formalismo esteriore e la riduzione della vocazione del popolo eletto a privilegio esclusivista contro i pagani minano l’universalità della salvezza e la missione dei discepoli di Gesù.

Gesù denuncia innanzitutto gli abusi dei farisei nell’ambito delle offerte. Essi sono capaci di osservare norme minime e marginali, come la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe. Gesù non vuole eliminare queste pratiche (l’offerta annuale della decima al tempio era richiesta infatti dal Dt 14,22), ma collocarle nel giusto contesto all’interno del vero rapporto di fede con Dio e di amore con il prossimo. Fare un’offerta senza un personale coinvolgimento in un cammino di conversione può diventare la scusa per trascurare invece precetti fondamentali, come la giustizia e l’amore di Dio, realtà che esigono una trasformazione decisa e continua del proprio cuore e del mondo.

L’altra denuncia è mossa da Gesù contro la tendenza a cercare onori, a inseguire gratificazioni e a curarsi delle apparenze di potere, occupando i primi posti. L’insistente preoccupazione per l’apparire è il risultato di una corruzione interiore che rende l’uomo simile a un sepolcro, magari sontuoso all’esterno, ma pieno di putridume dentro. Mentre l’interno rimane invisibile agli occhi degli altri, l’esterno viene esageratamente curato per fini egoistici.

Le parole di Gesù risuonano con forza e sferzano non solo i farisei ma anche i dottori della Legge, che si sentono profondamente offesi da lui. Anche per loro Gesù ha un rimprovero duro, in particolare contro la loro prassi di caricare sui fratelli il peso insopportabile di osservanze nelle quali essi però non sono coinvolti personalmente, rivelando la profonda incoerenza tra il loro insegnamento e la loro vita. La Legge è data per servire la vita, custodendola e promuovendola. La fede non è mai realtà che disumanizza: al contrario, stimola ogni creatura alla sua piena fioritura.

Ci troviamo in una prospettiva chiaramente apostolica: di fronte all’esi- genza dell’universalità della salvezza di Dio e della missione di Gesù e dei suoi discepoli, i farisei e i dottori della Legge devono mettere in questione il proprio modo di pensare il rapporto con Dio, di agire e di proporre la salvezza. L’occasione per la reazione critica di Gesù è il suo sedersi a mensa senza aver fatto le abluzioni prima del pranzo.

La prima severa critica (cfr. Lc 11,39-44) denuncia la pratica che evi- denzia una falsa concezione della vita e del rapporto con Dio. Il fariseo si meraviglia (cfr. Lc 11,38) per il comportamento di Gesù. Riceve una risposta immediata e dura da parte di Gesù (cfr. Lc 11,39). L’importanza che Luca attribuisce alla discussione, il tono delle critiche di Gesù, l’allusione ai profeti e agli apostoli con riferimento alla sapienza di Dio (cfr. Lc 11,49) ne evidenziano la serietà. Ciò che è in gioco nell’atteggiamento errato degli interlocutori di Gesù è la restrizione particolarista della salvezza all’osservanza esteriore della Legge, il che mette in pericolo la missione universale fondata sulla volontà salvifica del Dio dell’Alleanza.

La questione si pone anzitutto a livello di discriminazione tra puro e impuro, in termini di interno ed esterno, di norme imposte agli altri e non praticate da chi le impone. Questo richiama la visione di Pietro prima dell’incontro con il centurione Cornelio, con la sua affermazione puritana «Nulla di profano o di impuro è mai entrato nella mia bocca» (At 11,8). Nella pericope evangelica di Luca la risposta di Gesù è chiara: Dio ha fatto l’interno e l’esterno, tutto è opera delle sue mani, per cui tutto è puro (cfr. At 10,15; Mc 7,15). Nessun uomo può essere dichiarato profano o impuro, comprenderà Pietro (cfr. At 10,28). L’apostolato e la missione sono la manifestazione della benevolenza del Padre, Dio creatore di tut- ti, che non ammette alcuna barriera di separazione rituale o formale. Il missionario è chiamato a farsi prossimo di tutti (cfr. At 10,46-47), perché Dio non fa preferenze di persone (cfr. At 10,34).

Luca usa una formula densa di significato per esprimere l’apertura uni- versale della salvezza offerta da Dio in Gesù e la missione della sua Chiesa: «Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro» (Lc 11,40-41). Per essere puri, praticate la misericordia, vivete la carità. Nel Regno di Dio ciò che regola i rapporti tra le persone, superando barriere di discriminazione e separazione, si fonda sul mistero della benevolenza di Dio che in Gesù si fa prossimo a ogni uomo e usa misericordia con tutti. I discepoli missionari di Gesù sono chiamati a donare ciò che posseggono dentro. Non solo dare beni materiali in elemosina, ma offrire anzitutto se stessi: la propria vita e il proprio cuore. Non sono richiesti semplici atti esteriori, né l’esecuzione di precetti rituali: al discepolo missionario si richiede di dare tutto se stesso a Gesù, di offrire tutto se stesso, anima e corpo, dentro e fuori, cuore e affetti, relazioni e norme, per la causa della salvezza di tutti nella missione.