22 OTTOBRE 2019 Martedì, 29a Settimana del Tempo Ordinario

Memoria Facoltativa di San Giovanni Paolo II

 
Rm 5,12.15b.17-19.20b-
21 Sal 40,7-10.17
Lc 12,35-38

Il brano di Paolo proposto nella liturgia odierna è collocato esattamente nel cuore della Lettera ai Romani. Dietro l’affermazione che l’essere umano ha bisogno di essere redento, c’è la convinzione che questi sia colpevole nel suo rapporto con Dio. Dopo aver dimostrato, con l’aiuto dell’esperienza e delle Scritture, che la redenzione dell’uomo proviene da Dio attraverso la fede in Gesù Cristo e non dalla circoncisione, l’Apostolo inizia a trattare della “nostra” esperienza cristiana.

Se qualcuno rompe una relazione di amicizia, offendendo l’amico, si crea un disordine nel suo stesso cuore, che sarà superato solamente quando l’amico lo accoglierà e abbraccerà di nuovo, accettando le sue scuse. In effetti, la redenzione – dice Paolo – è il motivo e la condizione del no- stro vivere in pace con Dio. Ma affinché gli amici ritornino all’amicizia è necessario che qualcuno operi una mediazione tra i due, dicendo al colpevole che l’altro non serba più rancore, che lo sta aspettando con il cuore aperto. E quando tutto sarà superato, il legame sarà più forte e la gioia sarà maggiore di prima. Ora, continua Paolo, sapendo che chi fece da mediatore, ossia Gesù, dovette subire molte umiliazioni e sofferenze per trovarmi e convincermi a confidare nella bontà del Padre, del cui amore io avevo avuto disprezzo, il mio cuore è profondamente grato e si dispone con gioia a collaborare con Lui nell’opera di riconciliazione, partecipando ai suoi sacrifici per portare il messaggio agli altri fratelli.

Come possiamo dubitare di questo amore – chiede l’Apostolo delle nazioni – dopo la straordinaria dimostrazione che Dio ci ha dato? L’even- to storico della morte di Gesù ha un significato teologico di sofferenza sostitutiva: egli morì per noi, al posto nostro e al posto di tutti, per noi che ci eravamo allontanati da Dio. In altre parole, colui che ha ricevuto la missione di mediazione si è rivelato anche il nostro grande amico, pren- dendo su di sé il peso di tutti i mali che ci hanno colpito quando eravamo rimasti soli e smarriti. Questa dimostrazione incomparabile dell’amore divino per noi risplenderà nella storia per sempre, illuminando il cam- mino dei popoli.

Paolo va in lungo e in largo per il mondo, senza fermarsi, con grande gioia, fino al dono estremo di sé, per diffondere questa buona novella. Gesù non si sacrificò perché eravamo Giudei o Greci, schiavi o liberi, colti o ignoranti, ricchi o poveri, uomini o donne, ma semplicemente perché eravamo peccatori bisognosi di perdono. E il suo dono è stato dispensato senza che gli uomini avessero alcun merito. Ciò che più piace a Dio non è infliggere la punizione, bensì donare senza misura la sua sublime misericordia.

Dopo che Dio ha compiuto questo ineffabile mistero d’amore, asso- lutamente gratuito e universale, è impossibile – aggiunge l’Apostolo – che Dio non completerà l’opera della nostra salvezza! La pienezza della salvezza, quindi, riguarda i beni futuri, i beni escatologici: la gloria e la vita eterna. In questo modo, la pace e la riconciliazione che riceviamo “ora”, e assaporiamo dentro il nostro cuore, sono orientate al loro futuro compimento, poiché sono il pegno dei doni che riceveremo in seguito.

Per esporre la triplice dimensione di questa liberazione, cioè dal peccato, dalla Legge e dalla morte, Paolo inizia un confronto che descrive la situa- zione dell’essere umano prima e dopo Cristo, mostrando le conseguenze della disobbedienza di Adamo – che è “figura” di colui che doveva venire –, e quelle dell’obbedienza di Cristo, il nuovo Adamo. Riflettendo sulla storia della caduta dell’uomo (Adamo), nel poema della Genesi, Paolo utilizza la verità teologica lì presente: il peccato è la causa della tragica condizione di schiavitù dell’umanità. Il carattere eziologico del racconto della Genesi indica il peccato come causa della miseria generale dell’umanità (dolore, afflizione, discordia, violenza e morte). La disobbedienza di Adamo – sia in senso individuale che collettivo (cfr. Gen 1,27) – ha introdotto nel mondo una forza attiva e nefasta.

Ma ecco: Gesù Cristo è il liberatore. Per mezzo di lui è arrivata la re- denzione e la vita eterna per tutti. Gesù è il “secondo” Adamo, antitetico rispetto al nostro progenitore. Il primo essere umano non ebbe fede nel suo Creatore, ha disobbedito e ha rotto la sua amicizia con Lui. Al con- trario, Gesù è il “nuovo Uomo”, il nuovo Adamo, assolutamente fedele e perfettamente obbediente, che dà la sua vita per ristabilire la nostra amicizia con Dio. L’antitesi sottolinea l’incommensurabile superiorità del beneficio portato da Gesù in contrapposizione al danno inflitto da Adamo. «Se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti» (Rm 5,15). Il contrasto tra “uno” e “tutti” evidenzia la portata universale del nuovo legame di amicizia portato dal Signore Gesù.

Il tema centrale del brano evangelico di Luca è la seconda venuta del Signore nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, come si professa nel Cre- do: «E di nuovo verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti». La parentesi che separa il cammino del fedele da questo appuntamento inevitabile è il tempo dell’attesa operosa. L’idea più importante del brano evangelico è l’invisibilità del padrone che, dopo aver affidato un patrimonio da colti- vare e mettere a frutto, si defila, senza però abbandonare i suoi al proprio destino. In questo modo di operare di Dio risiede anche il mistero della libertà accordata all’uomo, che può scegliere come gestire il dono della vita senza pressioni fisiche, senza sentire una presenza incalzante.

Nelle Sacre Scritture la richiesta di tenere i fianchi cinti si riscontra per la prima volta in Es 12,11. Il contesto è la preparazione della cena pasquale prima del passaggio dell’angelo della morte e dell’uscita dalla terra della schiavitù. Diventerà poi una formula comune per indicare la chiamata al servizio, esemplificata magistralmente da Gesù. «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, [...] si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli» (Gv 13,1.4-5). In questo gesto, il servizio in nome di Dio è stato elevato al rango di sacramento dell’amore, all’interno dell’eucaristia che permette a colui che la riceve di avere parte alla vita di Gesù (cfr. Gv 6,30-58). Non a caso, il quarto Vangelo narra l’ultima cena con la lavanda dei piedi. A Pietro che cerca di schermirsi da quell’iniziativa, “indegna” per il Maestro, Gesù dice: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (Gv 13,8). Lavare i piedi ai fratelli è un gesto che il Maestro affida ai suoi discepoli come emblema dello stile di vita da portare a tutte le nazioni. Dopo la resurrezione di Gesù, infatti, i discepoli sono dissuasi dal continuare a guardare in cielo; sono incoraggiati, piuttosto, ad andare in missione per compiere tutto ciò che Gesù aveva detto e fatto, con la promessa che il Maestro sarebbe tornato tra i suoi allo stesso modo in cui se ne era andato (cfr. At 1,11). Si attende con speranza il ritorno del Maestro cingendosi i fianchi, ossia servendo i fratelli nella fede, annunciando e facendoli partecipare della salvezza offertaci in pegno nell’eucaristia.

La metafora delle lucerne da tenere sempre accese (come in Es 27,20; Lv 24,2) qualifica l’attesa come un tempo di vigile attenzione. L’apparente assenza del padrone può indurre alla tentazione di sostituirsi a lui, pre- tendendo di diventare gli arbitri assoluti della vita, propria e degli altri, e facendo man bassa dei beni affidati in custodia. Nell’ottica di Dio, l’attesa risponde alla legge dell’amore. In colui che vive i tempi lunghi dell’attesa, cresce il desiderio dell’incontro faccia a faccia con Dio: è necessario essere forti per sopportare l’onere di una parola data, ma senza un termine di sca- denza, sostenuti dalla promessa del ritorno senza preavviso. È importante essere consapevoli che tutte le stagioni di una vita spesa bene, cercando e facendo la volontà di Dio, sono un kairos, un tempo favorevole per essere richiamati a Casa. La vita sarà un successo se il fedele si farà trovare pronto per questo incontro.