BEATA MERCEDES DE JESUS MOLINA

Fondatrice della prima Congregazione religiosa femminile ecuadoriana "Istituto Santa Marianna di Gesù"

Mercedes di Gesù Molina è stata proclamata beata da San Giovanni Paolo II durante la sua visita pastorale in Ecuador, a Guayaquil, il 1° febbraio 1985. In quell’occasione, il Santo Padre ne fissò la memoria liturgica il 12 giugno. La Conferenza Episcopale dell'Ecuador, il 24 aprile 2015, durante la 137a Assemblea Plenaria dei Vescovi, ha dichiarato la beata Mercedes di Gesù Molina materna patrona dei missionari ecuadoriani “ad gentes”.

 Mercedes nacque nella provincia di Los Rios, dipartimento di Guayaquil (Ecuador) il 20 febbraio 1828, riempiendo d'amore e gioia la casa dei suoi genitori, Miguel Molina e Rosa Ayala. Persi i genitori precocemente, a due anni il padre e a quindici anni la madre, Mercedes fu affidata alla sorella maggiore e si trasferì a Guayaquil, dove poté beneficiare di tutti gli agi della sua grande eredità. Presto incontrò l’amore: un giovane rimase affascinato dalla sua bellezza, che emanava dolcezza e purezza, e la chiese in sposa. Un giorno però, durante una passeggiata con la famiglia del suo fidanzato, Mercedes cadde da cavallo e si fratturò un braccio. Durante il periodo della riabilitazione, contemplando Gesù sulla via del Calvario, la giovane ruppe la sua promessa coniugale nonostante fosse nell'imminenza del giorno delle nozze, decidendo da quel momento in poi di amare e dedicare la sua vita solo a Dio. Mercedes non era più la stessa, altri interessi presero posto nel suo cuore, gli stessi interessi di Dio. Iniziò così una vita di penitenza, mortificazioni e digiuno. Sebbene vestisse ancora abiti lussuosi, indossava sul corpo strumenti di penitenza. Accompagnata da un direttore spirituale, in quegli anni Dio le si manifestò molte volte attraverso visioni e locuzioni. Mercedes lasciò infine la comodità della casa di sua sorella Maria, spogliandosi di ogni avere, soldi, gioielli, abiti preziosi. Entrò a far parte della casa delle Recogidas, a Guayaquil, accettando con umiltà un pollaio come stanza. Diventò una tenera madre per le ragazze orfane di cui conquistò rapidamente i cuori. Nel 1870, i Padri Gesuiti la invitarono in una missione situata nella parte orientale dell’Ecuador. Mercedes era così povera, che per intraprendere il viaggio per il suo lavoro missionario e per la sua sopravvivenza, dovette chiedere l'elemosina per le strade di Guayaquil. Ella attraversò percorsi ardui e impervi dove la mula su cui viaggiava le cadde addosso più volte, per fortuna senza mai ferirla, e sperimentò spesso il freddo e la solitudine della notte. I possenti fiumi dell'Amazzonia ecuadoriana minacciarono più volte d'interromperle il viaggio. Ciononostante, nessuna di queste esperienze estreme riuscì a spegnere il fuoco per la missione che ardeva nel suo cuore. Fu la prima donna ecuadoriana ad entrare in questa area della giungla e divenne in breve tempo una consolazione per la tribù Shuar, guarendo le ferite materiali dei suoi membri e portando loro consolazione spirituale. A causa di un'epidemia di vaiolo, le condizioni di salute dei padri missionari si aggravarono a un punto tale che furono costretti a lasciare la missione. Così Mercedes rimase sola con due compagne. Alcuni mesi dopo, il Vescovo di Cuenca chiese anche a loro di lasciare la missione. Mercedes, tuttavia, non intendeva abbandonare i suoi “pazienti” e chiese di poter rimanere nella missione finché l'emergenza non fosse stata superata. Senza perdere la gioia di annunciare la Buona Novella in ogni circostanza, quando gli Shuar superarono l'epidemia di vaiolo Mercedes si recò a Cuenca e vi fondò un orfanotrofio. Dopo tre anni, si recò a Riobamba, dove il 14 aprile 1873 fondò la prima Congregazione religiosa femminile ecuadoriana con il nome di Istituto Santa Marianna di Gesù, prendendone i voti. Il Signore la chiamò a sé il 12 giugno 1883. 

Mercedes visse le devastazioni e il dolore della guerra tra le tribù di Mendez e Gualaquiza, affrontando accanto agli Shuar il flagello del vaiolo che decimò la popolazione. Curò i malati con dolcezza e tenerezza all'interno di una tenda-ospedale improvvisata. Rimase accanto ai pazienti durante tutto il corso dell'epidemia: con la parola li animò, con le mani li curò, con il cuore li amò.