11 OTTOBRE 2019 Venerdì, 27a Settimana del Tempo Ordinario

Memoria Facoltativa di San Giovanni XXIII

Gl 1,13-15; 2,1-2
Sal 9,2-3.6.16.8-9
Lc 11,15-26

Il Vangelo di quest’oggi approfondisce per gradi il tema del rapporto con Dio e introduce una doppia convinzione: la neutralità non è possibile e non ci sono stati definitivi nella vita da discepoli, se non la fedeltà di Dio.

La relazione con Dio si manifesta nella riduzione e nella vittoria sul male. Il Vangelo collega la tematica precedente della preghiera (cfr. Lc 11,1-13) con l’attività di esorcista di Gesù, prima si chiedeva che venisse il Regno di Dio, ora Gesù afferma che sta già arrivando e che il segno principale è l’espulsione dei demoni. La cosa più interessante è che, men- tre nei versetti precedenti si insisteva in vari modi sulla relazione di Gesù con il Padre, ora i suoi avversari travisano quanto detto in precedenza e accusano Gesù di agire in collusione con Beelzebùl (cfr. Lc 11,15). Tutta- via, il Vangelo continua ad affermare che Gesù, grazie alla sua comunione profonda con Dio, è in grado di ridurre e sradicare il male che esiste nelle persone e intorno a loro.

La neutralità non è possibile. Di fronte alla speranza di una vera e propria diminuzione ed eliminazione del male non è possibile essere neutrali, perché, come dice Gesù, «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» (Lc 11,23). Nell’impegno di rendere presente il Regno di Dio, quindi, bisogna prendere la decisione di essere a favore di Gesù, di raccogliere con lui; perché non fare il bene al modo di Gesù significa che si sta già permettendo, in un certo senso, del male. Non ci sono stati definitivi nella lotta contro il male se non nella vittoria pasquale di Gesù sulla morte. Nel caso dei discepoli, la condizione fon- damentale per potersi unire alla costruzione del Regno è la convinzione che nel pellegrinaggio della vita terrena non ci siano stati definitivi. Per spiegare questo concetto, il terzo evangelista introduce il racconto dei vv. 24-26. Diventa così chiaro, ad esempio, che la trasformazione della realtà avviene non solo perché si fa qualcosa di buono, ma perché lo si fa in modo costante: conformarsi è un modo per far crescere il male. Inoltre, quando lo spirito immondo ritorna, quella persona diventa peggiore di prima, solo perché aveva creduto di esserne liberato per sempre.

Il discepolo missionario ha il compito, come Gesù, di essere coinvol- to nella lotta e nello sradicamento del male. Questo conflitto contro il male dovrebbe essere una delle sue occupazioni principali, perché dimo- stra autenticamente il suo rapporto filiale con Dio e la sua comunione con Gesù. Curiosamente, però, la testimonianza esige che il discepolo si confronti con la sua umanità. Da un lato, infatti, gli è richiesto di ammettere di essere capace, in virtù della grazia e del proprio sforzo, di partecipare alla missione del Signore (cfr. Lc 9,1-6; 10,1-16). Tuttavia, a queste grandi possibilità che il Signore concede ai discepoli, corrisponde anche l’indicazione dei loro limiti: sono presentati, nella persona di Pie- tro, come peccatori (cfr. Lc 5,8); o anche come persone vulnerabili alla critica blasfema dei leader religiosi. È l’essere con Gesù, l’appartenergli, che determina e sostiene la lotta contro ogni forma di male.

Possiamo dire, quindi, che Luca non teme la realtà: presenta i discepoli sottolineandone virtù e impegno, ma anche difetti e smarrimenti. Allo stesso tempo l’evangelista, ma soprattutto il Signore Gesù, sa che nel riconoscimento di questa limitatezza sta la loro grandezza, perché ogni discepolo deve comprendere che sarà sempre in crescita, che non sarà mai in grado di raggiungere, almeno nella vita presente, vittorie definitive. Il discepolo missionario vivrà sempre al gerundio: convertendosi,impegnandosi, imparando; perché è proprio nel giorno in cui ha voluto vivere al participio – convertito, impegnato, istruito – che inizia ad essere pieno di sé, desideroso di salvarsi da solo.