5 OTTOBRE 2019, 26a Settimana del Tempo Ordinario

Feria

 

Bar 4,5-12.27-29
Sal 69,33-37
Lc 10,17-24

Nel Vangelo al quale è dedicata la nostra meditazione di oggi, i settanta (o settantadue) discepoli ritornano dalla missione con gioia, per rende- re conto al loro maestro Gesù del proprio successo pastorale: «anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome» (Lc 10,17). E Gesù stesso è partecipe della gioia dei suoi discepoli: «Vedevo satana cadere dal cielo come una folgore» (Lc 10,18). Come discepoli di Cristo, noi abbiamo ricevuto il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico e nulla ci potrà danneggiare (cfr. Lc 10,19). Si tratta della stessa promessa che Gesù riporta a tutti i suoi discepoli in Mc 16,18: «prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariran- no». Gesù ci avverte così che la missione sarà ardua e difficile, ma col suo Spirito e la sua grazia saremo sempre vittoriosi sulle forze del male nel mondo. «Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). È legittimo che il discepolo del Cristo sia fiero e felice dei successi delle proprie missioni di evangelizzazione, ma il motivo principale della sua gioia dovrebbe essere quello escatologico. Dobbiamo entrare nella gioia della salvezza, la gioia della speranza: «servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21.23). È la gioia del servo inutile (cfr. Lc 17,10), che ha fatto quanto doveva fare.

Ciò che importa davvero per i discepoli è che i loro nomi siano «scritti nei cieli» (Lc 10,20). Nell’idioma ebraico del tempo, ciò significa che i settanta (settantadue) tornati dalla missione sono riconosciuti da Dio come cittadini del cielo. È questa la loro vera casa, il Regno in cui Gesù consente loro di invitare gli altri a cui vengono inviati. Poi, improvvisamente, nel mezzo della sua conversazione con i discepoli missionari, Gesù si rivolge a un altro interlocutore, suo Padre che sta nei cieli. Come cittadini del Re- gno di Dio appena confermati, i settanta – e noi, osservandoli – ascoltano una conversazione divina. Siamo testimoni di un momento di profonda preghiera tra Gesù e suo Padre. Gesù rende grazie al Padre per la sua mise- ricordiosa volontà: i grandi misteri sono stati rivelati «ai piccoli» piuttosto che «ai dotti e ai sapienti», ai quali restano invisibili.

Nel contesto storico di Gesù, i discepoli inviati in missione sono “bam- bini” non solo perché sono alla loro prima esperienza missionaria, ma anche perché probabilmente non avevano ricevuto un’educazione formale al mondo di Dio pari a quella dei dotti rabbini, degli scribi e degli altri leader dell’ebraismo del tempo. Questo non significa negare il valore della formazione teologica, ma riconoscere che l’incontro con Dio è sempre un dono di Dio, che la fede in lui è il fondamento di ogni missione.

Gesù riflette poi ad alta voce, per così dire, sulla natura della relazione tra lui e il Padre. Qui, in un passaggio abbastanza simile a un altro in Matteo (cfr. Mt 11,25-30) e a molti altri in Giovanni (cfr. Gv 3,35; 13,3; 14,9-11), Gesù rivela la completa conoscenza reciproca tra Padre e Figlio e l’assoluta apertura dell’uno all’altro: questo è fonte di gioia e di comu- nione, la causa della fecondità e della missione.

È in virtù di questa relazione che Gesù ha il potere di invitare gli altri al rapporto con Dio, ad entrare in questa sua comunione divina. In questa intimità, sappiamo chi è il Figlio come conosciuto e amato dal Padre, e chi è il Padre come conosciuto e amato dal Figlio. I settanta, chiamati ad alleviare la sofferenza e l’oppressione nel nome di Gesù, incontrano il senso della loro missione nel Padre e nel Figlio e nella loro comunione di amore. Ascoltando oggi questo messaggio evangelico, continuiamo a essere invitati più profondamente a entrare in questa relazione. È, naturalmente, solo sulla base dell’incontro con il Padre, così come Gesù ce lo ha rivelato, che abbiamo il dono dell’amore di Dio da offrire in missione agli altri.

La Parola di Dio oggi ci chiama non solo a osservare i diversi aspetti della missione, ma anche a scoprire attivamente ciò che queste realtà ci rivelano di Dio. Quando con fede riconosciamo i modi in cui Dio viene e opera in noi, possiamo permettere al suo Spirito di svolgere la sua missio- ne verso gli altri attraverso di noi. La profonda comunione dei discepoli missionari con Gesù, nella sua amorevole unità divina con il Padre, dà gioia, passione e zelo per l’impegno missionario. Molto più che per il loro successo, i discepoli missionari si rallegrano per l’amore, per la comunione con il loro Maestro e Signore, per la vocazione a essere figli e figlie di Dio il cui nome è scritto nei cieli.


In tal senso, Papa Francesco, nella sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, al paragrafo 21, scrive: «La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione pieni di gioia (cfr. Lc 10,17). La vive Gesù, che esulta di gioia nello Spirito Santo e loda il Padre perché la sua rivelazione raggiunge i poveri e i più piccoli (cfr. Lc 10,21). La sentono pieni di ammirazione i primi che si convertono nell’ascoltare la predicazione degli Apostoli “ciascuno nella propria lingua” (At 2,6) a Pentecoste. Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre. Il Signore dice: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!” (Mc 1,38). Quando la semente è stata seminata in un luogo, non si trattiene più là per spiegare meglio o per fare segni ulteriori, bensì lo Spirito lo conduce a partire verso altri villaggi».